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DOCUMENTO CONGIUNTO

GRUPPO DI ETOLOGIA E ECOLOGIA COMPORTAMENTALE DELL'UNIVERSITA' DI SIENA

LEGAMBIENTE TOSCANA

I problemi imposti dalla gestione della fauna selvatica e dello habitat in cui essa vive e si riproduce devono essere affrontati in una visione di conservazione complessiva e unitaria.

Questo significa, in primo luogo, affermare la necessità di una gestione conservativa dell'intero territorio, inteso sia come aree protette sia come ambiti sottoposti a prelievo venatorio. Significa anche porsi il problema della conservazione non solo degli habitat naturali e della relativa fauna selvatica, ma anche dell'ecosistema agricolo e delle specie animali a esso collegate, senza dimenticare la altrettanto inderogabile necessità della conservazione della fauna oggetto di caccia.

Si avverte, pertanto, l'esigenza di coordinare le forze interessate alla conservazione dotandole di una strategia unitaria di ampio respiro che possa rendere possibile e proficua una collaborazione tra ambientalisti, cacciatori e agricoltori.

Una simile prospettiva non può fare a meno tuttavia di partire da un'auspicabile evoluzione dei mondo venatorio verso una maggiore consapevolezza ecologica. Un'evoluzione culturale capace di affrancarsi, progressivamente, da pratiche e impostazioni non compatibili con la conservazione della fauna selvatica e di fare propria una nuova etica venatoria. Un'etica basata sulla disponibilità di una fauna cacciabile realmente selvatica e su criteri tecnici di prelievo scientificamente fondati.

Quest'impostazione è essenziale, in primo luogo, ai fini di una alleanza con gli agricoltori. Privilegiare la selvaggina selvatica impone, infatti, al mondo venatorio di destinare le proprie risorse prioritariamente al miglioramento ambientale a fini faunistici e di conseguenza di valorizzare economicamente, tramite specifici incentivi, il lavoro degli agricoltori disponibili a realizzare siffatti interventi: una strategia capace di incrementare il reddito degli agricoltori, ma anche uno strumento di tutela della loro salute e di quella, più in generale, della collettività. Qualsiasi misura di riduzione dell'agricoltura intensiva e/o estensiva comporta, infatti, una riduzione dei rischi connessi all'uso dei pesticidi.

Una prassi basata su di un prelievo venatorio di carattere conservativo è, dunque, la sola in grado di fare svolgere al mondo venatorio un ruolo decisivo nelle strategie di conservazione. Questa, infatti, indirizzando una parte cospicua dei fondi derivanti dalle tasse venatorie in una corretta opera di restauro ambientale, pone le basi per il graduale superamento dei tradizionali criticabili interventi di ripopolamento "pronta caccia” di fauna importata o allevata in cattività.

Questo intervento ambientale beneficerebbe, direttamente o indirettamente, tutte le specie selvatiche, in primo luogo quelle maggiormente penalizzate dalle trasformazioni intervenute nell'ecosistema agricolo a partire dalla metà degli anni '50 del XX secolo. Questo è un aspetto decisivo per un'alleanza anche con il mondo ambientalista più consapevole, per favorirne un progressivo affrancamento da improduttive posizioni estremiste.

Si tratta dunque di porre fine tanto a un irresponsabile consumismo venatorio quanto alla parte più fondamentalista e integrale del movimento animalista, creando, viceversa, le condizioni per una salda alleanza sociale volta a produrre un oculato governo dell' intero territorio.

Non più isole contrapposte a un territorio privo di qualsiasi gestione ecologica, ma governo conservativo tanto delle aree protette quanto del cosiddetto "territorio libero". Questo vuol dire riconoscere alle aree protette il loro insostituibile ruolo di conservazione nel tempo di habitat e fauna di esclusivo valore ecologico e di grande rilevanza scientifica. Significa anche conservazione di equilibri ecologici complessi, che necessitano, in ogni caso di un approccio e di una guida scientifica, non esclusi eventuali interventi di contenimento numerico di popolazioni che possano rendersi talvolta necessari proprio per assicurare l'integrità di tali equilibri.

Quest' impostazione è, infine, essenziale alla difesa di quella che, nel contesto europeo, può essere definita l' anomalia italiana. L' Italia è, infatti, l' unico paese dell' Unione Europea a avere una legislazione che definisce la fauna selvatica proprietà indisponibile dello Stato, delegandone la gestione agli Enti Territoriali (Regioni e Province) e alle forze sociali (agricoltori, ambientalisti e cacciatori). Tutti gli altri paesi europei possiedono una legislazione prevalentemente privatistica che rende la fauna selvatica proprietà esclusiva del proprietario del fondo nel quale essa vive e si riproduce, o semplicemente transita. Una legislazione privatistica che, sul piano tecnico, al di là quindi di una valutazione di carattere politico, ha conseguito, nel migliore dei casi, una tutela nei confronti degli Ungulati (ma non dei loro predatori), ma che ben poco ha saputo fare nei confronti della conservazione della fauna dell' ecosistema agricolo. D'altra parte, anche in Italia, salvo limitate eccezioni, la gestione privata (Aziende Faunistiche Venatorie) si è orientata verso una gestione basata prevalentemente, se non esclusivamente, sulla fauna riprodotta in cattività.

Occorre dunque prendere atto che la corretta applicazione di leggi come la 157/92 ela 394/91sull' intero territorio nazionale rappresenta un obiettivo di primaria importanza che deve vedere l'impegno unitario di tutti quelli seriamente consapevoli della necessità di conservare, per la comunità presente e futura, semplicemente tutta la fauna selvatica.

Articolo completo http://ecoitaly.net/sva/2001/news03_02_01.htm



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