Lepus europaeus Pallas, 1778 : Lepre Comune o Europea
- Superordine: Gliri (Glires)
- Ordine: Lagomorfi (Lagomorpha)
- Famiglia: Leporidi (Leporidae)
- Sottofamiglia: Leporini
(Leporinae)
- Nome italiano :
Lepre comune o
Europea
- Sottospecie italiana
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Lepus europaeus meridiei Hilzheimer
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Sistema ed identificazione
Lepus europaeus è
stato formalmente differenziato nel suo vastissimo areale in una trentina di sottospecie. La validità di questa distinzione tassonomica viene oggi messa in discussione poiché, in assenza di condizioni di isolamento tra le diverse popolazioni necessarie a dare luogo ad una vera e propria speciazione, le differenze morfologiche rilevabili tra una popolazione e l’altra sono presumibilmente dovute all’adattamento a condizioni ecologiche locali. Le popolazioni italiane di
Lepre comune risultano attualmente costituite da un miscuglio di diverse razze e di un gran numero di ibridi. Ciò rende impossibile distinguere la forma indigena
da quelle alloctone.
Origine delle popolazioni italiane
Resti paleontologici testimoniano la presenza di Leporidi nella Penisola Italiana dal Miocene - Pliocene, mentre fossili attribuibili al Genere
Lepus, Linnaeus, 1758, sono datati a partire dal tardo Pliocene - primo Pleistocene. Una revisione del materiale paleontologico disponibile risulta necessaria alla luce delle recenti acquisizioni filogenetiche sulle lepri italiane. Si ritiene infatti che Lepus europaeus
si sia insediata nella Penisola Italiana solo nel tardo Pleistocene, quando già era presente
Lepus corsicanus.
probabile che ulteriori fasi di diffusione diL.
europaeus si siano verificate anche in tempi successivi. Le popolazioni italiane di Lepre comune sono attualmente oggetto di
approfonditi studi di tipo genetico e morfologico, al fine di valutare le conseguenze indotte nella forma autoctona (tradizionalmente
identificata come
Lepus europaeus meridiei) dalle ripetute introduzioni di altre sottospecie, quali europaeus (Pallas, 1778), hibridus
(Desmarest, 1822), e transylvanicus
(Matschie, 1901). Da questi studi risulta che la generalità delle popolazioni italiane presentano aplotipi comuni
alle popolazioni europee e sudamericane da cui provengono i contingenti importati per i ripopolamenti condotti a fini venatori.
Inoltre, le analisi craniometriche dimostrano un significativo aumento della taglia nelle attuali popolazioni italiane di Lepre
comune, rispetto ai campioni raccolti fino al primo decennio del XX secolo, con un avvicinamento ai tipi morfologici delle forme
centro-europee. Ciò nonostante, in aree appenniniche d’altitudine sono state individuate
lepri comuni con aplotipi esclusivi del
territorio italiano.
Geonemia
La specie è diffusa in tutta l’Europa continentale ad eccezione della Penisola Iberica, e nelle Isole Britanniche; è
inoltre presente in Transcaucasia, Siria, Palestina, Iraq. È stata introdotta con successo in Irlanda, Svezia meridionale, Nuova Zelanda, Australia, alcune regioni del Nordamerica ed alcune isole oceaniche. In Italia era originariamente distribuita nelle regioni centro-settentrionali della penisola a nord di una linea immaginaria che va da Grosseto a Foggia. A partire almeno dagli anni 1920-1930 la specie è stata introdotta artificialmente a scopo venatorio anche nelle regioni meridionali e in Sicilia. Attualmente popolazioni localizzate di
Lepus europaeus
sono presenti in tutte le regioni meridionali, con esclusione della Sicilia.
Distribuzione Ecologica
L’habitat tipico della Lepre comune è rappresentato dagli ambienti aperti come praterie e steppa, ma in seguito alla progressiva espansione dell’agricoltura ha trovato una condizione ideale nelle zone coltivate, ove esistono disponibilità alimentari in ogni periodo dell’anno. Preferisce quindi gli ambienti caratterizzati da buona diversità ambientale con colture in rotazione, boschetti, terreno ben drenato e fertile. In conseguenza della sua ampia valenza ecologica frequenta comunque una grande varietà di ambienti: brughiere, zone dunose, terreni golenali, boschi (principalmente di latifoglie e ricchi di sottobosco); evita le fitte boscaglie, le foreste troppo estese, le pendici ombrose, i terreni freddi e umidi dove al mattino la rugiada si mantiene a lungo. Pur preferendo le zone pianeggianti e collinari, si spinge in montagna fin verso i 2.000 m s.l.m. sulle Alpi e sino a 2.600 m sulla catena appenninica.
Status
Negli ultimi cinquant’anni la situazione complessiva delle popolazioni di
Lepre comune in Italia, come d’altronde in diversi altri paesi europei, è stata caratterizzata da una graduale
diminuzione. Buone consistenze si sono mantenute nelle aree protette ed in quelle caratterizzate da un’attenta gestione venatoria. Le cause del declino vengono in genere attribuite sia alla modificazione quali-quantitativa degli ambienti adatti, dovuta ai moderni criteri di coltivazione (sensibile riduzione della diversità ambientale e delle superfici coltivate a foraggere, meccanizzazione, uso di pesticidi, abbandono delle zone agricole non meccanizzabili), sia all’elevata pressione venatoria. Anche l’aumentato grado di antropizzazione ha favorito tale situazione, e soprattutto il notevole incremento del traffico stradale e della stessa rete di strade asfaltate, che originano effetti diretti (investimenti) ed indiretti (frazionamento dell’habitat). Localmente l’aumento dei predatori, e in particolare della
Volpe (Vulpes
vulpes) e dei cani randagi, può solo avere contribuito all’ulteriore rarefazione della specie. La distribuzione e la densità delle popolazioni della
Lepre comune risultano decisamente condizionate dalle operazioni di ripopolamento da un lato e dal prelievo venatorio dall’altro. Per questo, mentre la specie può ritenersi presente un po’ ovunque, la sua effettiva consistenza subisce profonde variazioni stagionali. La specie abbisogna sostanzialmente dell’applicazione di corretti modelli di gestione venatoria, affinché il prelievo venga rapportato alla produttività naturale. Ne consegue l’abbandono della pratica del ripopolamento, che negli ultimi cinquant’anni è stata attuata principalmente con animali importati da altri paesi ed ha determinato due effetti negativi: la diffusione di nuovi agenti patogeni e l’introduzione di forme alloctone.
N. 14 - Mammiferi d'Italia
MARIO PAGNESI, VALTER TROCCHI
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