Capreolus capreolus (Linnaeus, 1758) : Capriolo
- Superordine: Ungulati (Ungulata)
- Ordine: Artiodattili (Artiodactyla)
- Sottordine: Ruminanti (Ruminantia)
- Famiglia: Cervidi (Cervidae)
- Sottofamiglia: Odocoileini (Odocoileinae)
- Nome italiano :
Capriolo
- Sottospecie italiane :
- Capreolus capreolus capreolus (Linnaeus,
1758) (Arco alpino, Appennino
settentrionale, Abruzzo, Sila)
- Capreolus capreolus italicus Festa, 1925
(Gargano, Castelporziano, Monti di
Orsomarso)
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Sistema ed identificazione
In base ad una recente revisione della
sistematica del Capriolo europeo le diverse
sottospecie descritte in passato (transylvanicus
Matschie, 1907, canus Miller,
1910, thotti Lönnberg, 1910, ecc.) sono
state ritenute di dubbia validità e tutte le
popolazioni vengono oggi tendenzialmente
attribuite alla forma nominale. Le
popolazioni di Capriolo diffuse sull’arco
alpino e nell’Appennino settentrionale,
originatesi per immigrazione dall’Europa
centrale e/o frutto di reintroduzioni operate
con soggetti provenienti da quest’area,
debbono dunque essere attribuite a
C. c. capreolus. I piccoli nuclei presenti
nella Tenuta Presidenziale di Castelporziano
(Lazio), nella Foresta Umbra (Gargano,
Puglia) e nei Monti di Orsomarso
(Calabria) rappresenterebbero le uniche
popolazioni relitte del Capriolo un tempo
260
presente in tutta l’Italia centro-meridionale,
riconducibile secondo Festa (1925)
alla forma italicus. Recenti lavori di carattere
genetico sembrano confermare questa
tesi, almeno per ciò che concerne la
popolazione di Castelporziano, mentre i
caprioli presenti nella Toscana meridionale
(colline senesi e Maremma) potrebbero
derivare dall’incrocio del genotipo originario
con quello appartenente a soggetti
importati dall’Europa centrale.
Origine delle popolazioni italiane
Le prime forme di Cervidi dotate di
appendici frontali (palchi) comparvero
in Eurasia nel Miocene superiore e nel
Pliocene (Procervulus, Dicrocerus); i
primi resti fossili attribuibili al Genere
Capreolus Gray, 1821 risalgono al tardo
Pliocene e quelli attribuibili al Capriolo
attuale al tardo Pleistocene.
In Italia resti di C. capreolus sono
stati rinvenuti in numerose località della
penisola (Liguria, Veneto, Toscana,
Lazio, Basilicata, Puglia), soprattutto
nei giacimenti antropozoici, associati
alla fauna quaternaria.
Geonemia
Il Capriolo è diffuso in tutta l’Europa
continentale, Gran Bretagna, Asia Minore,
Iran, Palestina ed Iraq; più ad est, dalla
Russia europea attraverso l’Asia centrale
sino all’Amur, è sostituito da una specie
affine ma caratterizzata da maggiori
dimensioni, il Capriolo siberiano (C. pygargus). Il limite settentrionale dell’areale
europeo è rappresentato dal 67°
parallelo in Scandinavia, quello meridionale
dalla Turchia e quello orientale da
una linea ideale che unisce il lago Ladoga
al Mar Nero.
In Italia sono attualmente individuabili
due grandi subareali: il primo comprende
tutto l’arco alpino, l’Appennino
ligure e lombardo sino alle province di
Genova e Pavia ed i rilievi delle province
di Asti ed Alessandria; il secondo si
estende lungo la dorsale appenninica dalle
province di Parma e Massa Carrara sino
a quelle di Terni e Macerata ed occupa
anche i rilievi delle province di Pisa,
Siena, Grosseto e Viterbo nonché la Maremma
toscana. Questi due subareali sono
tra loro separati da uno iato spaziale
grosso modo compreso tra i fiumi Scrivia
e Stirone. Piccoli areali disgiunti sono
presenti nell’Italia centro-meridionale:
oltre a quelli citati nel paragrafo precedente
vanno ricordati quello del Parco
Nazionale d’Abruzzo ed aree limitrofe e
quello della Sila, entrambi originati da
reintroduzioni effettuate a partire dalla
metà degli anni Settanta del XX secolo.
Distribuzione Ecologica
L’optimum ecologico per il Capriolo
è rappresentato da territori di pianura,
collina e media montagna con innevamento
scarso e poco prolungato nei
quali si sviluppa un mosaico ad elevato
indice di ecotono caratterizzato dalla
continua alternanza di ambienti aperti
con vegetazione erbacea e boschi di latifoglie.
Tuttavia la specie accetta una vasta
gamma di situazioni ambientali diverse,
dalle foreste pure di conifere alla
macchia mediterranea.
In Italia, contrariamente a quanto avviene
in altri paesi europei, manca pressoché
totalmente dalle pianure intensamente
coltivate, mentre è diffuso lungo
le due catene montuose principali, dal
piano basale al limite superiore della vegetazione
arborea ed arbustiva (Orizzonte
alpino), nonché nei rilievi minori della
fascia prealpina e in quelli che formano
l’Antiappennino toscano.
Problemi di conservazione
Sino alla metà del XVIII secolo il Capriolo
era abbondantemente diffuso pressoché
in tutta l’Italia continentale ed in
Sicilia. Successivamente, la crescita della
popolazione umana e la sua capillare invasione
di ogni territorio con lo sviluppo
delle attività agro-silvo-pastorali ha provocato
una progressiva contrazione sia
dell’areale della specie sia della consistenza
delle sue popolazioni, principalmente
a causa della persecuzione diretta di cui è
stata oggetto. La fase più acuta di questo
fenomeno corrisponde al periodo immediatamente
successivo alla seconda guerra
mondiale, quando il Capriolo era presente
con poche popolazioni tra loro isolate,
concentrate soprattutto nell’arco alpino
orientale e nella Maremma.
A partire dalla fine degli anni ’60 si è
verificata un’inversione di tendenza che
ha portato la specie a rioccupare una parte
considerevole del proprio areale storico.
Ciò è avvenuto grazie all’azione sinergica
di più fattori: l’abbandono delle tradizionali
attività rurali in vasti territori
montani del Paese con il conseguente
miglioramento delle condizioni ambientali
(parziale riconquista delle superfici
un tempo coltivate da parte della vegetazione
forestale pioniera) e diminuzione
della pressione diretta da parte dell’uomo
sulle popolazioni relitte, introduzione di
norme tese a vietare o regolamentare la
caccia alla specie, immigrazione in nuovi
territori da parte di soggetti provenienti
dai nuclei residui, operazioni di reintroduzione
operate in più settori geografici
soprattutto dalle Pubbliche Amministrazioni.
Nell’Italia centro-meridionale il
Capriolo occupa invece una frazione
estremamente ridotta dell’areale potenziale
con poche popolazioni di piccole
dimensioni tra loro fortemente isolate.
Attualmente non è possibile stimare
con precisione la consistenza globale della
specie sul territorio nazionale, ma essa
dovrebbe aggirarsi intorno ai 400.000 capi.
Localmente, in particolare in alcuni
settori dell’Appennino ligure e tosco-romagnolo,
sono state riscontrate densità
assai elevate, sino ad oltre 40 capi per
Kmq, anche se in generale la densità delle
popolazioni risulta ancora distante da
quella potenziale. Il Capriolo è cacciato,
in genere sulla base di piani di prelievo
selettivi, in tutte le province alpine ed in
quelle di Savona, Alessandria, Parma,
Massa Carrara, Pistoia, Reggio Emilia,
Modena, Bologna, Firenze, Ravenna,
Forlì, Arezzo, Siena e Grosseto con un
prelievo complessivo annuale stimabile in
circa 30.000 capi nel periodo 1998-99.
Status
Nella parte centro-settentrionale del
Paese il Capriolo mostra uno stato di
conservazione generalmente soddisfacente
ed in progressivo miglioramento, anche
se non mancano situazioni locali nelle
quali una cattiva gestione tende a
mantenere tuttora densità di popolazione
assai inferiori a quelle potenziali o ad impedire,
attraverso il bracconaggio sistematico,
la naturale ricolonizzazione del
territorio. Questi fattori limitanti andrebbero
rimossi in modo da ottenere
una diffusione più omogenea della specie
e la saldatura dei due grandi subareali in corrispondenza delle province di
Piacenza e La Spezia, eventualmente anche attraverso reintroduzioni mirate.
Nell’Italia centro-meridionale il Capriolo versa in uno stato di conservazione
estremamente precario e risulta prioritaria la messa in atto di azioni tese da
una parte a salvaguardare i nuclei autoctoni residui favorendone l’espansione e
dall’altra lo sviluppo di programmi di reintroduzione ovunque gli enti gestori
siano in grado di ridurre in maniera significativa il bracconaggio ed il
randagismo canino, che rappresentano i principali fattori limitanti per il
successo di tali programmi.
N. 14 - Mammiferi d'Italia
SILVANO
TOSO
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