Una delle critiche che salutarono la
pubblicazione nel 1879 della teoria darwiniana fu che essa non seguiva i
paradigmi scientifici propugnati dalle filosofie della scienza allora in voga.
Questo problema costituiva una delle preoccupazioni fondamentali di una scuola
intellettuale ben distinta dal gruppo di geologi e di biologi di cui Darwin
faceva parte; la figura più rappresentativa di tale scuola era John Stuart Mill
(1806- 1873) la cui analisi dell’induzione e della logica della ricerca
sperimentale, contenuta nel Sistem of logic (1843) avrebbe avuto in
seguito una notevole anche se indiretta influenza sullo studio del comportamento
animale. I due aspetti di questo approccio filosofico sono costituiti
dall’ipotesi che la mente umana si venga a sviluppare prendendo le mosse da uno
stato iniziale informe (tabula rasa) in seguito alle esperienze del singolo
individuo e dall’argomentazione che il processo alla base di tale sviluppo sia
costituito dalla formazione di associazioni tra idee, mediata dalla percezione
dei rapporti intercorrenti tra gli eventi del mondo. A questi principi
fondamentali Mill aggiunse l’ipotesi che un’idea complessa formata
dall’associazione tra due idee più semplici possa avere proprietà differenti
dalle sue costituenti elementari.
Verso la fine del secolo, le
argomentazioni di Mill a proposito di quella che sarebbe stata chiamata la
“chimica della mente” incoraggiarono gli psicologi animali a conservare la fede
nella centralità del ruolo dei processi associativi e a ritenere che le funzioni
e lo sviluppo del cervello umano e animale avessero gradi di complessità
differenti.
Mill considerava
questi argomenti dal familiare punto di vista filosofico ma il primo personaggio
che operò il primo tentativo sistematico di separazione tra lo studio dei
problemi psicologici da una tradizione strettamente filosofica e di dare alla
psicologia lo stato di scienza naturale, fu Alexander Bain[1].
Il tema fondamentale della psicologia di Bain fu costituito dall’esame
dettagliato dei rapporti esistenti tra processi nervosi e fenomeni psicologici.
Tale esame prese le mosse dalla discussione delle prove a favore dell’ipotesi
che il cervello fosse la sede principale dei processi mentali; si riteneva
allora che gli eventi mentali e quelli organici si verificassero in modo
completamente parallelo, in assenza di qualsiasi rapporto causale tra di essi.
Ma il contributo originale di Bain nacque dal suo tentativo di comprendere “il
germe istintivo della volizione” o le origini delle azioni volontarie.
Bain sentiva la
necessità di tracciare una netta linea di confine tra le azioni riflesse
prodotte dal sistema nervoso in risposta ad alcuni eventi esterni e quella che
egli definiva l’attività spontanea.
Nel 1862, le lezioni
tenute da Bain furono seguite da un giovane ventenne, Douglas Spalding (1840-
1877). Egli fu colpito dall’idea, diffusa tra gli studiosi di filosofia,
relativa al fatto che funzioni mentali anche semplici, come la percezione della
distanza, sarebbero possibili solo grazie ad un qualche ruolo dell’esperienza;
infatti, basandosi sulle proprie osservazioni, Bain si era convinto che tali
capacità potessero essere apprese rapidamente nel corso delle prime ore di vita
dell’animale. In tal senso Spalding iniziò una serie di esperimenti utilizzando
come modello sperimentale il pulcino di pollo domestico. Per la prima volta
costruì una sorta di incubatoio artificiale: pose le uova su uno straccio umido
sotto il quale era presente una pentola con dell’acqua che bolliva in modo da
garantire calore e umidità a sufficienza per la schiusa. Dopo aver rimosso una
parte del guscio, Spalding mise dei cappucci sopra agli occhi o introdusse della
cera nelle orecchie di alcuni pulcini prima che essi uscissero dall’uovo,
privandoli così delle prime esperienze visive o uditive. I cappucci o la cera
vennero rimossi quando, due o tre giorni più tardi, il sistema neuro- muscolare
degli uccelli si era ormai sviluppato a sufficienza ed essi erano in grado di
effettuare dei movimenti coordinati. Spalding riferì nella sua comunicazione
che, nel dirigere accurati movimenti di beccata verso gli insetti, nel
mangiarli, nell’evitare gli ostacoli e nel muoversi nella direzione appropriata
al suono del richiamo di una chioccia che non potevano vedere, questi pulcini
mostravano capacità analoghe a quelli che non erano stati sottoposti ad alcuna
privazione sensoriale; inoltre , la comparsa casuale di un falco e ulteriori
prove sperimentali con un falco addomesticato indicarono che anche le risposte
di paura a certi tipi specifici di stimoli visivi erano innate. In una sola
parola, Spalding dimostrò l’esistenza degli istinti. Mentre questi
comportamenti, quindi, gli parvero completamente istintivi, lo sviluppo di altre
reazioni sembrava comportare anche alcuni elementi legati all’esperienza; egli
parlò a questo proposito di “istinti imperfetti”. Un interessante esempio di
questi esperimenti è costituito da quello che Spalding definì “reazione di
inseguimento” e che più tardi diverrà noto con Lorenz come imprinting. Se i
pulcini vedevano Spalding al momento in cui, un giorno o due dopo la schiusa,
veniva loro tolto il cappuccio, essi lo seguivano dovunque andasse; tuttavia, se
prima dell’eliminazione dei cappucci passava qualche giorno in più, il fenomeno
non si verificava: in questo modo anticipò una nozione cruciale per le scienze
biologiche, ossia la nozione di periodo critico o di periodo sensibile. Se
Spalding avesse potuto continuare la sua opera, sarebbe molto probabilmente
divenuto il fondatore dell’etologia moderna.
Nell’epoca
vittoriana vi era un altro studioso che aveva opinioni molto simili a quelle di
Spalding: Thomas Henry Huxley (1825- 1895), “il cane da guardia di Darwin”,
grande polemista e sostenitore delle posizioni darwiniane. Fu lui a scontrarsi
con il vescovo Wilberforce in una famosa riunione della Brithish Asociation a
Oxford, nel 1860, per l’avanzamento delle scienze. La sua ira fu scatenata da un
attacco alla teoria dell’evoluzione portato dal vescovo, che fece però il fatale
errore di tentare di essere spiritoso, chiedendo se Huxley ritenesse di
discendere da una scimmia per parte del bisnonno o della bisnonna. “Il
Signore lo ha messo nelle mie mani!” mormorò Huxley ad un allibito vicino;
nella sua risposta egli replicò che in effetti preferiva vantare un’ascendenza
scimmiesca piuttosto che quelle di un uomo che utilizzava il proprio intelletto
al servizio di idee false per confondere lo sviluppo del sapere scientifico:
“…non avrei certo portato io stesso in discussione un argomento di questo
genere, ma sono pronto a rispondere al Molto Reverendo Prelato anche su questo
terreno…Se dunque mi venisse chiesto se io preferirei avere come bisavolo una
miserabile scimmia oppure un uomo colmato di doti dalla natura e in possesso di
grande influenza e capacità, che tuttavia impiega le sue doti e la sua influenza
per il solo scopo di mettere in ridicolo una seria discussione scientifica,
allora affermo senza alcuna esitazione di preferire la scimmia.[2]”
Dei suoi svariati contributi, due hanno particolare
importanza nel presente contesto. Egli introdusse nella disciplina, in parte per
mezzo del suo allievo Lloyd Morgan, quell’attitudine scettica che permeò
dapprima la psicologia animale e in seguito gran parte della psicologia
americana verso la metà del XX secolo. Inoltre Huxley fu il primo a mettere in
evidenza tutte le implicazioni delle ipotesi che gli animali non umani siano
delle macchine biologiche di grande complessità e che vi sia una completa
continuità tra l’uomo e gli altri animali: egli argomentò infatti che la loro
logica conseguenza era che noi fossimo degli “automi consapevoli”, in cui i
rapporti tra la consapevolezza e le basi fisiche dei processi mentali sono molto
simili a quelli esistenti tra il suono della suoneria di un orologio e il
funzionamento delle parti che lo costituiscono.
Il suo approccio non era propriamente quello di un
naturalista come Darwin, ma piuttosto era simile a quello di un ingegnere che
per ogni organismo vivente si ponesse il problema di quali ne fossero la
struttura e il funzionamento.
Il compito di svolgere per l’evoluzione mentale lo
stesso lavoro che Darwin aveva fatto per l’evoluzione dei tratti fisici e
fisiologici, viene assunto da Gorge Romanes (1848- 1894), un giovane fisiologo
di Cambridge. Egli riteneva che il suo compito fosse quello di trarre un senso
dalla confusione dei dati disponibili a proposito del comportamento animale
classificando dapprima sistematicamente le osservazioni e deducendone poi dei
principi generali per una teoria dell’evoluzione mentale. Nel 1882 pubblicò
Animal Intelligence , una summa di contributi forniti da osservatori che avevano
una vasta fama di competenza, o da addestratori e semplici proprietari di
animali. Si evince chiaramente la convinzione che gli animali possedessero
emozioni e capacità intellettive analoghe a quelle umane. Egli sosteneva che la
nostra esperienza soggettiva, la “consapevolezza”, costituiva l’unico modo
diretto per comprendere i meccanismi della nostra stessa mente e i motivi delle
nostre azioni; quando si percepisce che le attività degli altri sono simili a
quello che noi stesso facciamo, basandoci sul principio dell’analogia
attribuiamo agli altri una mente simile alla nostra. Lo stesso, per Romanes,
vale per gli animali: essi posseggono una mente nella misura in cui il loro
comportamento è analogo al nostro. Una delle critiche che gli venne mossa,
infatti, fu quella di un eccesso di “antropomorfismo[3]”.
In conclusione egli ipotizzò che l’evoluzione
mentale avesse potuto seguire un corso molto differente da quello delle
strutture dell’organismo.
Romanes era convinto che chiedersi se un animale
possedesse una mente equivalesse a chiedersi se esso fosse consapevole; l’unica
prova obiettiva che egli riusciva ad immaginare riguardo a questo problema
consisteva nel verificare se l’animale fosse o meno capace di effettuare delle
scelte, ritenendo che la scelta si fosse verificata quando era possibile
determinare che il comportamento in esame era influenzato dalle esperienze
passate.
Il compito di criticare l’antropomorfismo
esasperato di Romanes viene assunto da Lloyd Morgan (1852- 1936), professore di
geologia e di zoologia. In Animal Intelligence , Romanes aveva citato alcuni
resoconti del comportamento degli scorpioni che facevano pensare che questi
animali avessero una tendenza a suicidarsi quando si trovavano in situazioni di
intenso stress. Morgan mise in dubbio questa particolare ipotesi di Romanes:
applicando uno stimolo nocivo in varie posizioni del corpo dell’animale e
osservandone il comportamento, Morgan giunse alla conclusione che i movimenti
della coda erano delle azioni riflesse il cui scopo normale era quello di
eliminare le fonti di irritazione e non un tentativo di infliggersi
volontariamente una puntura mortale.
All’epoca erano molto diffusi i resoconti, scritti
da proprietari di animali domestici, relativi a varie capacità strabilianti dei
loro animali (aperture di chiavistelli, porte, ecc…). Morgan va ad indagarle e
osserva che se si va a vedere il modo in cui si sono sviluppati inizialmente
questi comportamenti, essi possono in realtà essere ricondotti a quello che lui
chiamava “apprendimento per prove di errori”. Ciò era già stato congettualizzato
da Spencer e dal filosofo Bain e andava sotto il nome di “principio di Spencer-
Bain”: ogni volta che un’azione spontanea era seguita immediatamente da una
conseguenza soddisfacente per l’animale, cioè correlata con quegli stati mentali
che sono associati con la riduzione del dolore, con il piacere, quell’azione
tendeva a ripetersi.
Morgan formulò il suo canone:
“In nessun caso possiamo interpretare un’azione
come il risultato dell’esercizio di una facoltà superiore, qualora ci sia
possibile interpretarla come il risultato dell’esercizio di una facoltà che si
trova più in basso nella scala psicologica”. Si tratta dell’applicazione
nell’ambito della psicologia comparata del famoso principio del rasoio di Ockam
e cioè cercare la spiegazione più semplice in ogni fenomeno.
Lo sviluppo successivo della disciplina ci induce a
spostarci dall’Europa agli Stati Uniti . Qui opera Jacques Loeb (1859- 1924),
studioso dei movimenti orientati di vegetali e di animali, secondo il quale il
comportamento si realizzerebbe mediante i “tropismi”, reazioni meccaniche e
involontarie. La teoria dei tropismi ha avuto origine dalle osservazioni
condotte sulle piante, relative al fatto che in molte circostanze, esse mostrano
dei processi di crescita indirizzati verso la luce. Di qui l’idea che anche per
gli organismi animali fosse possibile interpretare il loro comportamento in
termini di “campo di energia fisico- chimica” a cui erano sottoposti.
La radice penetra verticalmente nel suolo sotto
l’influenza di un’eccitazione dovuta alla gravità (geotropismo). Il fusto,
invece, è orientato nel suo accrescimento dalla luce (fototropismo). Qui non si
parlerà di istinto della pianta; la parola tropismo significa semplicemente che
l’orientamento dell’accrescimento è funzione del campo di forze fisiche nel
quale è posta la pianta.
Negli animali non si tratta di accrescimento, ma di atteggiamenti e di movimenti
condizionati da contrazioni muscolari. L’animale fototropico si volge verso la
luce e si muove nella sua direzione.
Herbert Jennings (1868- 1947), formulò delle critiche alla teoria dei tropismi.
In un famoso libro Il comportamento degli organismi inferiori (1906), l’autore
osserva che le due funzioni di base della teoria dei tropismi di Loeb, sono
errate. La prima funzione è che gli organismi sono passivi, cioè rimarrebbero in
uno stato di quiescenza fino a quando una qualche forma di energia li stimoli.
In tal senso, Jennings conduce una serie di esperimenti sulle amebe mostrando
che anche quando l’ambiente viene mantenuto estremamente costante e stabile,
questi animali mostrano un’attività spontanea e pertanto non hanno bisogno di
essere stimolati affinché si produca movimento. In secondo luogo Jennings
osserva che la reazione di un organismo ad uno stimolo non può essere compresa
senza un riferimento allo stato interno dell’organismo, ciò che oggi chiamiamo
“stato emotivazionale”. Secondo lo studioso i cambiamenti nello stato interno
dell’animale possono dipendere da vari fattori: in primo luogo, quando si
applica uno stimolo, dipendono da quali altri stimoli sono presenti in quel
momento nell’ambiente dell’animale; in secondo luogo, da quante volte in
precedenza l’animale è stato esposto a quel particolare stimolo. La ripetuta
presentazione di uno stimolo produce una forma particolare di apprendimento
chiamata “abituazione”, che consiste nella rimozione della risposta dal
comportamento dell’animale.
Da qui all’affermazione degli studi prettamente etologici il passo è breve:
zoologi come Oskar Heinroth (1871- 1945), Jacob von Uexküll ( 1864 -1944) e
Charles Withman(1868- 1947), intanto, lavorando sugli animali constatano che,
per esempio, negli uccelli alcuni comportamenti fondamentali si scatenano
indipendentemente da qualsivoglia stimolo esterno, il che significa che
l'istinto è qualcosa di più complesso di una reazione ad un dato ambiente o
situazione.
Si affaccia infine la nozione di Umwelt, o «ambiente
specifico», basilare nella moderna etologia comparata, ovvero l'ambiente esterno
com'è percepito e quindi «vissuto» e «filtrato» da un organismo specifico, senza
il quale non è possibile prendere correttamente in considerazione gli esseri
viventi. Si inizia cioè a studiare gli ambienti stessi, non secondo l'aspetto
che essi hanno per noi, ma secondo l'aspetto che hanno per la specie studiata.
Howard constata che gli uccelli si battono per la
difesa del loro territorio con più accanimento di quanto non facciano per le
femmine, Carpenter allarga quest'osservazione alle scimmie antropoidi.
Un'altra tappa importante la raggiunge Erich von
Holst (1908- 1962) con i suoi studi sul sistema nervoso centrale, che dimostrano
sperimentalmente l'esistenza di impulsi prodotti spontaneamente dal sistema
nervoso centrale e quindi di comportamenti di appetenza che non poggiano su dei
riflessi ma su attitudini dei centri nervosi a produrre di per sè delle
eccitazioni a regolazione automatica.
A partire dai lavori di Konrad Lorenz, Erich von
Holst, Karl Lashley nasce verso la fine degli anni trenta l'etologia moderna.
Come dice William Thorpe, «Lorenz associò tutte le
idee del suo tempo come nessun altro aveva saputo fare prima di lui e seppe
trarne tutte le implicazioni» . A lui si aggiungeranno Nikolaas Tinbergen[4],
Robert Ardrey, Desmond Morris, Irenäus Eibl-Eibesfelt, George Barlow, Julian
Huxley, Karl von Frisch, Anthony Storr, di cui alcuni si dedicheranno
specificamente alla divulgazione o alla «zoologia umana». L'etologia dall'inizio
degli anni cinquanta conosce ormai una fama mondiale.
Se in Germania Konrad Lorenz rappresenta con uno dei
«cardini» della cultura antiegualitaria tedesca, in Belgio, Francia, Italia è
con la nascita della corrente di pensiero chiamata Nouvelle Droite che si
comincia a scoprire e propagandare l'importanza e le implicazioni delle scoperte
etologiche in politologia, antropologia, sociologia, psicologia, pedagogia. Cosa
questa che non si rivela certo difficile, grazie allo spontaneo interesse di
pubblico che subito si lega allo stile letterariamente delizioso di Lorenz, in
cui dominano scene di una poeticità toccante; e grazie ancora alla profonda
semplicità e atecnicismo che caratterizzano il suo lavoro scientifico,
mettendolo alla portata di tutti. Alcuni etologi si sono poi particolarmente
dedicati ad un lavoro di divulgazione.
Anche la pubblicazione di volumetti come Uomo e
natura. Anti-Lorenz[5] contribuisce a creare
pubblicità e a tenere viva l'attenzione su questo tema, attenzione che ancora
oggi continua a manifestarsi attraverso decine di servizi giornalistici e, per
esempio, attraverso l'introduzione di Lorenz nella rosa di autori «di sicura
presa» che vengono proposti dai vari «club del libro», forma di vendita al
pubblico in uso anche in Italia.