Il tema dell'apprendimento animale è stato
affrontato nel Novecento sia dalla psicologia che dall'etologia. L'impianto
teorico e le metodologie di queste diverse linee di ricerca hanno fatto sì che
il fenomeno dell'apprendimento non solo fosse analizzato da prospettive spesso
inconciliabili, ma altresì desse vita a risultanze empiriche e sperimentali
sostanzialmente antitetiche. La psicologia, essendo più interessata
all'ontogenesi del comportamento - ossia allo sviluppo individuale
dell'identità comportamentale - poneva la propria attenzione più ai meccanismi
dell'apprendimento che al significato adattativo di questo fenomeno, cosicché
si preoccupava soprattutto di realizzare situazioni sperimentali dove ogni
parametro potesse essere predefinito. Questa è stata la filosofia della scuola
pavloviana all'inizio del XX secolo, delle prime impostazioni di ricerca in
psicologia animale e comparata, ma soprattutto di quella impostazione teorica
chiamata comportamentismo (behaviorismo) fondata da John B. Watson nel 1913 e
che dominerà nello scenario della ricerca psicologica nordamericana fino alla
fine degli anni Cinquanta. Volendo tracciare un filo conduttore tra i famosi
esperimenti di Ivan Pavlov[1]
(1849- 1936) sul condizionamento classico e quelli di Burrhus Skinner[2]
(1904- 1990) sul condizionamento operante, notiamo che l'apprendimento viene
interpretato come una sorta di riflesso automatico che si realizza attraverso
un'attività di tipo associativo. Nel condizionamento classico l'associazione si
determina tra uno stimolo neutro (ossia che non esita alcuna risposta di ordine
innato), per esempio il suono di una campanella, e uno stimolo incondizionato
(ovvero che scatena in modo innato una risposta di ordine neurovegetativo), per
esempio la vista di un boccone di carne capace di evocare in modo innato
(incondizionato) la produzione di saliva. Il condizionamento per Pavlov è la
formazione di un nuovo arco riflesso stimolo-risposta (S-R) tra lo stimolo
neutro e la risposta, nel caso specificato la produzione di saliva. Quando lo
stimolo neutro (la campanella) precede di poco lo stimolo incondizionato (la
presentazione della carne) nel giro di breve tempo si forma un'associazione tra
i due stimoli cosicché il cane inizia a salivare non appena sente suonare la
campanella. La ricerca comportamentista proseguirà questo tipo di studi, ma si
soffermerà più sulle risposte motorie e sulle scelte operate dall'animale. Il
primo a studiarle è Edward Thorndike (1874- 1949) che ponendo dei gatti in
particolari gabbie attrezzate - dove cioè gli animali potevano operare in modo
controllato sul loro ambiente, premendo leve o pulsanti - diede inizio alla
ricerca sul condizionamento operante. Per Thorndike apprendere è connettere, ovvero
creare una rete di connessioni tra situazioni e stimoli da una parte e risposte
dall'altra. Nel condizionamento operante l'associazione si realizza tra una
risposta emessa dal cane di fronte a una particolare condizione (attraverso una
ricerca per tentativi ed errori) e la conseguenza che ne deriva: rinforzo
positivo, rinforzo negativo, punizione positiva e punizione negativa. Per
Burrhus Skinner il condizionamento pavloviano dev'essere denominato di tipo S,
perché per produrlo è importante la presenza dello stimolo, ovvero è un
condizionamento rispondente, mentre il secondo dev'essere indicato come tipo R,
perché è importante l'azione del soggetto ovvero l'operazione che esso compie
sull'ambiente, da cui il termine operante. Il condizionamento classico verrà
inoltre suddiviso a seconda del valore eccitatorio e inibitorio del legame S-S
e inoltre si approfondiranno altre situazioni a esso riconducibili, come
l'oblio e l'estinzione, oppure a esso differenziabili, come l'abituazione. La
scuola comportamentista da parte sua svilupperà tecniche sempre più complesse
di analisi dei programmi di rinforzo - a tempo variabile o fisso, a numero
variabile o fisso, a Jack-pot - scomponendo le fasi dell'apprendimento in unità
atomiche da sequenzializzare attraverso il modellaggio e la sequenza lineare
S-R. La sequenza lineare prevede che ogni risposta del soggetto venga
trasformata nello stimolo scatenante la risposta successiva in una catena di
risposte rigidamente condotta all'interno del binario impresso dallo sperimentatore.
La visione estremamente riduzionistica presente nella fisiologia pavloviana e
nel comportamentismo skinneriano troverà critiche anche all'interno delle loro
stesse scuole. Il fisiologo russo Nikolaj Bernstejn aveva infatti sottolineato
come l'apprendimento animale dovesse essere illustrato più come un processo
ciclico, dove il soggetto corregge il tiro del proprio operare a seconda da una
parte dell'esito del proprio agire dall'altra della meta che si prefigge. Allo
stesso modo all'interno della scuola comportamentista Clark Hull aveva
sottolineato come tra stimolo e risposta si dovessero considerare le specifiche
pulsioni (drive) del soggetto, ossia un insieme di variabili interne che
modificavano profondamente l'esito dell'apprendimento. Già negli anni Quaranta
la spiegazione comportamentista del processo di apprendimento animale
cominciava a presentare le prime difficoltà interpretative. Fu proprio uno
studioso behaviorista, Edward Tolman, a dimostrare come in molte situazioni si
potesse evidenziare un processo di apprendimento senza condizionamento. Tolman
scoprì che i ratti posti in un labirinto apprendevano anche senza alcun tipo di
rinforzo, dimostrando che quando essi successivamente venivano posti in una
condizione sperimentale in un labirinto analogo, con l'utilizzo di rinforzi
arrivavano più velocemente alla soluzione rispetto ad altri ratti
"vergini", ossia che non avevano mai frequentato il labirinto. Tolman
chiamò questo fenomeno "apprendimento latente". Negli anni Cinquanta
il fisiologo Karl Lashley dimostrò che in molti casi la catena associativa di
Skinner, basata sulla sequenza lineare S-R, non poteva spiegare alcuni fenomeni
come la preattivazione di una risposta (effetto priming) e gli errori
anticipatori (spoonerismo). Si ponevano già le basi di quella che sarebbe stata
la rivoluzione cognitivista che avrebbe inquadrato l'apprendimento associativo
all'interno di una più complessa famiglia di "apprendimento per
rappresentazione". L'associazionismo cominciò a essere letto come rappresentazione
causale dove i legami S-S (stimolo-stimolo) e R-C (risposta-conseguenza)
venivano considerati come la formazione di un legame di causalità diretta tra i
due eventi. Ma accanto alla ricerca comportamentista, sempre nella prima metà
del Novecento, c’era quella etologica, con un approccio profondamente diverso
rispetto alla psicologia dell'apprendimento. L'etologia era principalmente
interessata al significato evolutivo del comportamento, dove l'apprendimento
veniva considerato una sorta di declinazione del comportamento innato.
L'etologia concentrava la propria attenzione sull'identità di specie del
comportamento, si soffermava quindi sulla filogenesi e sul significato e sulla
rispondenza ecologica del pattern comportamentale. Le metodologie di indagine
dei processi di apprendimento erano pertanto improntati su condizioni per
quanto possibile naturali, al fine di evitare qualsiasi fraintendimento sul
significato adattativo del comportamento. Il fenomeno più conosciuto studiato
dal padre dell'etologia Oscar Heinroth fu l'imprinting, ossia il preadattamento
innato dei cuccioli di seguire un modello, di creare una sorta di attaccamento
sociale e di accreditamento magistrale, per informare la declinazione
comportamentale. Nel concetto di declinazione comprendiamo la profonda
differenza tra la concezione comportamentista - che leggeva l'individuo come un
foglio bianco che veniva condizionato dagli stimoli esterni - e la concezione
etologica di una precisa matrice innata che si modifica in accordo tuttavia con
precisi vincoli e precise preferenze. L'altro padre riconosciuto dell'etologia,
Jakob von Uexkull, aveva sottolineato nel concetto di "umwelt" come
ogni specie fosse immersa in un mondo differente a opera dei diversi sistemi di
percezione e di attenzione agli stimoli. L'apprendimento diventa pertanto una
sorta di declinazione che permette alla radice innata di svilupparsi in un modo
piuttosto che in un altro, ma dentro un preciso range di possibilità. Oltre al
fenomeno dell'imprinting gli etologi studiarono l'apprendimento per imitazione[3],
per interazione sociale e infine per vicarianza - dove il soggetto imparava
guardando un conspecifico affrontare particolari problemi. La ricerca etologica
permise inoltre di osservare che popolazioni differenti della stessa specie
spesso presentavano vere e proprie "tradizioni comportamentali"
diverse, ossia che si poteva parlare di una cultura animale. L'apprendimento
culturale si discosta dalle altre tipologie di apprendimento sociale per la sua
maggiore flessibilità, per il suo non essere determinato dal contesto della
specie - non è sufficiente che un individuo appartenga a quella particolare
specie per manifestare quel comportamento - e infine per la presenza di una
relazione magistrale dove un componente del branco realizza una particolare
esibizione comportamentale al solo scopo di insegnare a un altro membro della
popolazione quel particolare uso. Infine la ricerca etologica ha sottolineato
l'importanza del gioco nei mammiferi come contesto di apprendimento, ove
l'alternarsi di ruolo, l'esplorazione ambientale, i biofeedback sensomotori si
dimostravano veri e propri volani nel processo di apprendimento. Negli anni
seguenti la divisione rigida tra comportamentismo ed etologia classica - che
aveva conosciuto un inasprimento durante la fondazione etologica a opera di
Konrad Lorenz e Niko Tinbergen - trovò una lenta ricomposizione grazie al
lavoro di alcuni studiosi come William Thorpe e Robert Hinde e sempre di più si
cercò di mettere in rilievo il doppio registro filogenetico e ontogenetico del
comportamento, evitando da una parte di assegnare una priorità all'innato o
all'acquisito, evitando dall'altra di porre in modo separato queste due fonti
del comportamento. L'apprendimento inizia a essere letto come uno strumento
messo in campo dal processo evolutivo proprio per migliorare l'adattabilità dei
singoli organismi, riprendendo in parte la ricerca psicologica di Jean Piaget e
James Baldwin. L'apprendimento viene considerato come un processo che dà un
valore aggiunto all'innato ovvero che realizza quanto vi è di potenziale
nell'innato e parallelamente si apre la strada per la rivoluzione cognitivista[4]
che modificherà in modo radicale il concetto stesso di apprendimento animale.
[1] Medico fisiologo russo il cui nome è
legato alla scoperta del riflesso
condizionato da lui enunciato nel 1903. Tale scoperta consentì di applicare
i metodi obbiettivi della fisiologia allo studio dei processi nervosi
superiori.
[2] Psicologo americano sostenitore del
condizionamento operante.
[3] Apprendimento basato sull’osservazione
di altri individui.
[4] Il cognitivismo è una prospettiva
della psicologia contemporanea sviluppatasi a partire dalla secoda metà degli
anni ’50, in aperta opposizione al comportamentismo.